La
nostra storia inizia negli anni 60 del 700, quando il paese di Partigliano era
ancora un comune autonomo. Fu in quell'epoca che presero vita alcune forme
diffuse di rappresentazioni teatrali. Non vi era ancora un teatro pubblico,
così le messe in scena avvenivano all'aperto o in spazi privati, perlopiù
appartenenti a famiglie benestanti. Si trattava di occasioni di ritrovo, in
sporadiche sere, soprattutto estive, o nei pomeriggi del fine settimana, che buona
parte della comunità viveva come uno svago tra una fatica e l'altra nei campi.
Ad
essere rappresentati erano i canti e le ballate popolari della tradizione
contadina. Erano anche momenti in cui i padri facevano mostra dei figli e delle
figlie, con la speranza che incontrassero un buon partito da sposare.
Anche
quando, durante l'Ottocento, il paese perse lo status di comune per confluire
nel territorio comunale di Borgo a Mozzano, le modalità di condividere il
teatro rimasero le stesse del secolo precedente. Soltanto negli ultimi decenni del
XIX secolo si verificarono importanti innovazioni, grazie alla tradizione del “Maggio
Drammatico Teatrale”[1]
mutuata da Valdottavo.
Il
primo, piccolo, teatro novecentesco era situato in Via Vicinato, lungo il lastricato
in pietra che i paesani chiamano “Fillungo”. In seguito, fu spostato un
centinaio di metri più avanti nella medesima via, in una stanza più grande di
proprietà della Chiesa, nel luogo che a Partigliano chiamano “Al Pioppo”. Da lì
in avanti le rappresentazioni di commedie si fecero frequenti. Il teatro
divenne sempre di più il centro propulsivo per lo scambio culturale con le
comunità limitrofe. Oltre alle esibizioni dei paesani, infatti, venivano
ospitate compagnie provenienti dai vicini Valdottavo, Tempagnano e Domazzano.
Il ruolo
centrale del teatro “Al Pioppo” si inserisce nella più ampia influenza che la
chiesa esercitava in quel periodo nel disegnare usi, costumi ed economia dell'intera
comunità paesana. Nei primi anni del ‘900 a Partigliano era presente un
rettore, Don Boluccelli, gestore dei beni della parrocchia, a cui dopo qualche
anno fu affiancato un cappellano, Don Giovacchino Andreoni, a seguito della
donazione di alcune terre di una ricca signora (ricordata come “la signora
Anna”). Per un periodo i due parroci coesistettero poi, a seguito di una diatriba
di inizio anni 1910, la curia allontanò Don Boluccelli dal paese ed i beni da
lui gestititi passarono sotto la responsabilità unica del cappellano
Giovacchino, che assunse la carica di rettore. Tra le numerose proprietà di cui
divenne amministratore c'era anche il terreno sul quale alcuni paesani
avrebbero voluto costruire un nuovo e più spazioso teatro.
Con lo
scoppio della Grande Guerra (in Europa dal 1914, in Italia dal 1915) così come
fu stravolta la vita di ognuno si interruppe anche ogni attività teatrale. Anche
Partigliano subì la perdita di molti soldati alle armi, tra cui alcuni ragazzi
del ’99, inesperti e troppo giovani per morire nel fango. I sentimenti di tanti
di coloro che andarono in trincea sono descritti perfettamente dalle parole di
Sigfried Sassoon: “Schiere di volti grigi, mormoranti, mascherati di paura,
lasciano le trincee, risalgono la cima del fossato, mentre il tempo, vuoto e
affannato, batte ai loro polsi, e la speranza, insieme con gli sguardi furtivi e
i pugni stretti, si dibatte nel fango. O Gesù, fa che tutto questo abbia fine!”[2]
In
seguito alla Prima Guerra Mondiale la vita paesana riprese lentamente la
normalità, e fu così che nel 1921 un gruppo di persone decise di fondare “Il Circolo
Ricreativo”, un'associazione che si occupava di organizzare rappresentazioni
teatrali e di gestire le feste paesane, tra le quali nacque “Il 4 novembre” (in
omaggio al giorno stesso in cui nel 1918 a Vittorio Veneto si era sancita la
vittoria italiana), per celebrare caduti e reduci del conflitto. Le riunioni
del consiglio direttivo del Circolo si svolgevano nella casa di Davide Rinaldi,
anziano signore rinomato per la sua generosità e contraddistinto da folti baffi
“all’Umberta”, che era situata in località La Piazza (detta “Al Palazzo” per la
sua imponenza).
Poco tempo
dopo giunse il regime fascista, cambiarono le denominazioni e le strutture
associazionistiche, e agli inizi degli anni 1930 una gran parte dei paesani valutarono
che il teatro a loro disposizione, ancora quello presso “Al Pioppo”, era troppo
piccolo ed inospitale, perciò proposero di costruirne uno nuovo. Il luogo
ideale fu individuato in Via Crocialone, nel medesimo sito suggerito da alcuni
prima della Grande Guerra, come già detto appartenente alla chiesa, la quale,
tuttavia, ostacolava il progetto. A sbloccare la situazione fu Davide Rinaldi,
che acquistò quel terreno per donarlo alla comunità.
Il suo
gesto fu emblema dell'altruismo per il quale era rinomato in paese. Infatti,
era ben noto che presso il Circolo volessero costruire anche un bar, che
sarebbe diventato concorrente di quello gestito dallo stesso Davide. I suoi
altruismo e spirito di sacrificio saranno rimarcati anche anni più tardi,
quando, di fronte alla minaccia di fucilazione di massa che Partigliano subì il
13 settembre 1944 e che incombeva anche sui suoi due figli Aldo e Casimiro, nel
momento in cui gli occupanti nazisti liberarono le persone più anziane, egli si
rifiutò di andarsene e disse: “Se devo morire, voglio morire con i miei figli”[3],
e rimase in chiesa fino alla liberazione collettiva della mattina seguente.
Di recente sono venuto in possesso dell'atto con cui Mario Giuntini, Presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro di Partigliano, chiese al Commissario Prefettizio di Borgo a Mozzano l'autorizzazione a costruire il nuovo edificio: "Il sottoscritto Mario Giuntini, nella sua qualità di Presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro di Partigliano, fa rispettosa istanza alla S.V. Ill/ma per essere autorizzato a costruire un fabbricato da destinarsi a sede sociale.
Il predetto fabbricato sorgerà in Partigliano stesso in luogo detto CROCIALONE.
Si allega il disegno relativo.
Borgo a Mozzano, li' 1 maggio 1935 anno XIII
Con perfetta osservanza.
I lavori
di edificazione del teatro proseguirono per alcuni mesi e terminarono con
la copertura del tetto nello stesso 1935. È rimasta in nostro possesso una foto di quel
giorno, che testimonia la partecipazione volenterosa di tanti paesani alla
costruzione del locale che prese il nome di Dopolavoro (dall’Opera Nazionale
Dopolavoro in vigore durante il regime), tra cui ricordiamo Dorando Mariani e
Lido Marchetti, entrambi scomparsi pochi anni fa. Per la verità non tutti vi
parteciparono volontariamente, in quanto era in vigore un provvedimento, chiamato
“L’opere in natura”, che obbligava le persone a lavorare gratuitamente per il
Comune alcuni giorni l’anno. L’unico modo per esimersi era farsi sostituire da
un famigliare o pagare qualcuno perché lavorasse al posto proprio. Dal 1935 al
1943 la gestione del locale fu affidata ai componenti dell'Opera Nazionale Dopolavoro,
formata dagli iscritti al partito fascista, i quali un mese ciascuno ne
prendevano le redini. La struttura dell'edificio era a pianta rettangolare, con
un palco, una platea e due locali adiacenti, uno che fungeva da bar, l’altro da
alimentari. In verità non era molto dissimile dalla conformazione attuale, in
più esisteva soltanto una porta che dal palco entrava nel loco dove ancora oggi
vi sono gli alimentari, in cui era situato lo spogliatoio degli attori.
Presso
il Dopolavoro fu presto trasferito ed ampliato il programma teatrale, che
assunse una dimensione più ampia e stabilmente anche extra-paesana. Andavano
spesso in scena le compagnie di Valdottavo, guidate dal Maestro Pierotti, una
figura autorevole e molto stimata. Sotto la sua guida venne rappresentata, tra
le altre, Il cardinale dei medici, la commedia più gradita al pubblico.
La sala del Dopolavoro veniva utilizzata anche per altri scopi: vi si
organizzavano pranzi, cene e ritrovi ed è da lì che il paese ascoltò riunito il
discorso di Mussolini del ’40 sull’ingresso in guerra (“vincere, e
vinceremo…”). La sera del 5 gennaio di ogni anno veniva organizzata “La befana
fascista”, dove si distribuivano ai bambini pacchi regalo dal colore della
bandiera italiana. Le tragedie e gli orrori della guerra, forse ancor più che
nel conflitto precedente, stroncarono i normali svolgimenti della vita e con
essi subì di nuovo un brusco arresto anche l’attività teatrale.
Sul
finire del secondo conflitto mondiale il teatro riprese lentamente le attività
e ospitò balli e canti dei soldati Alleati, tra cui gli americani di colore,
perlopiù brasiliani che rimasero impressi nell'immaginario collettivo
dell'epoca. Con la caduta del regime decadde il Dopolavoro, che per decenni non
fu sostituito da alcuna specifica associazione. Per oltre trent'anni il teatro
sarà utilizzato esclusivamente per le rappresentazioni delle singole compagnie e
fungerà da magazzino per il bar adiacente.
Negli
anni 50 la stagione teatrale si arricchì di nuovo, ospitando oltre a compagnie
di Valdottavo e Tempagnano, anche gruppi di Piegaio, Corsagna e della più
distante San Martino in Freddana. Perlopiù venivano rappresentati Maggi e
Bruscelli (uno spettacolo
carnascialesco che deriva dalla Commedia dell’Arte, anch’esso cantato, in
ottava rima) con l'intermezzo di qualche commedia. I gruppi degli altri
paesi erano pagati tramite una percentuale del ricavato dall'ingresso degli
spettatori. I trascinatori della commedia partiglianina erano Ivo Nicoletti
(conosciuto come Ivo della Bettina) ed Amedeo Gheri, che mantennero questo
ruolo fino all'inizio degli anni 70. Una delle prime commedie rappresentate fu Brigata
Firenze, il cui cast era composto dagli stessi Ivo ed Amedeo assieme ad
Ardito Nicoletti, Noè Giusti e Maria Panicali, quasi sempre l'interprete
femminile di ogni commedia. Successivamente vennero rappresentate Luce che torna
(la storia di un giovane cieco la cui fidanzata lo tradisce con il padre,
fino a quando il ragazzo recupera la vista e rimette le cose a posto inducendo
il genitore al pentimento) e Juan Josè (in cui si narrano le vicende di Juan
Josè e l’amico Paco, che per averne la fidanzata Rosa, fa mandare il povero
Josè in galera con accuse false.
La situazione si capovolge quando Josè esce di
prigione ed uccide Paco riconquistando Rosa). Della compagnia di Tempagnano citiamo
la messa in scena di una commedia intitolata Il Fintunghero, che
riscosse un gran successo di pubblico.
La
tradizione partiglianina dei maggi visse una buona produzione tra le fine degli
anni ’40 e l’inizio dei ’50, ma scomparve quasi del tutto nei ’60, per vivere
poi una stagione d’oro negli anni ’70 grazie all’opera di Galileo Santini e
Aldo Nicoletti. I racconti li vogliono in sella ad una Vespa a girovagare per i
paesi del comune, anche la notte, in cerca di antichi copioni da trascrivere e
rimodernare. Tra i maggi rappresentati ricordiamo: La strage degli innocenti, Santa Flavia, Pia dei Tolomei, Oloferne e
Giuditta, Costantino il grande ed i bruscelli Il Giannone e Giuseppe ebreo. Uno degli attori che fece parte di tutti
questi maggi fu mio nonno, Romano Giuntini, a cui devo buona parte delle
informazioni presenti in questo articolo, il quale vi ha recitato
fino agli anni 2000, quando nonostante gli impedimenti fisici ha continuato a
coltivare questa sua grande passione.
Ai nomi di Aldo Nicoletti e Guido Giambastiani è
legata una “svolta epocale” nella gestione del teatro. Nel 1976 le due volenterose
personalità, alla guida di un cospicuo gruppo di compaesani, ricostituirono il
Circolo Ricreativo, affiliandolo all’ente ENAL. L'edificio tornò così ad essere
utilizzato con frequenza per svariate manifestazioni, anche diverse da quelle
teatrali. Grazie all'ondata di novità introdotta da queste figure
trascinatrici, fiorirono anche le attività di compagnie di giovani che misero
in scena alcune significative rappresentazioni. Intorno al Circolo vide la luce
in quegli anni anche un giornalino paesano, “La Colonna”[4], da
cui emerse una variegata vivacità culturale. In questo clima, nei primi anni
80, sempre Aldo Nicoletti e Franco Pierucci inventarono la “Festa sotto l’albero”,
una manifestazione che da allora si tiene ogni anno poco prima di Natale.
Durante gli anni 80 cadde di nuovo nel
dimenticatoio la tradizione dei maggi, che fu riscoperta ad inizio anni 90
dall'opera di Alberico Andreuccetti, mio padre, tramite l’associazione “Cultura
e Comunità”. Venne ricostituito il gruppo dei maggianti di Partigliano, che
per anni riscosse consensi e premi in tutta la Toscana, con la riproposizione
dei copioni degli anni 70 di Pia dei
Tolomei, Santa Flavia, Costantino il grande.
Nel 1997 Pia dei Tolomei fu messa in scena di notte, nel centro del
campo di Guzzanello, con un teatro ricavato in un cerchio di torce infuocate.
Lì, per l’occasione, era presente il Maestro Giorgio Albertazzi, il quale,
racconta chi c’era, ne rimase estasiato. Oltre a mio nonno Romano, gli attori
principali dei maggi furono Francesco Gheri, Giancarlo Mariani, Giovanna
Santini, Nella (Neli) Nicoletti. Mio padre, oltre alla regia, svolgeva il ruolo
del suggeritore che, come da tradizione dei maggi, stazionava sotto il palco
all’interno di una cabina coperta. Ai maggi si accompagnavano soventi le
esibizioni del gruppo “Musici e Cantori Il Bel Castello”, che, guidati dal
cantastorie Pietro Lino Grandi, rappresentavano stornelli della tradizione popolare.
Sempre negli anni 90, per la regia di Alberico Andreuccetti e il montaggio di
Enrico Pierucci, fu girato a Partigliano il film Shalom, che con attori
locali riproduceva, anche con accenni di contemporaneità, la storia della
natività di Gesù. Si trattò di un vero e proprio evento, oggi disponibile su
YouTube per la visione di tutti.
Dopo qualche anno di pausa, negli anni 2000 la
tradizione dei Maggi fu guidata dall'opera di Pietro Lino Grandi, prima con l’associazione
“Musici e cantori Il bel castello”, poi con la ricostituita Compagnia dei
maggianti. Oltre alla riproposizione di Oloferne e Giuditta e del
bruscello Il Giannone, furono
messi in scena nuovi copioni dalla firma del maestro Giuseppe Pasciuti: Il terzo Federico, La leggenda del ponte
del diavolo e Giuseppe d’Arimatea. Fu scritto, ma mai messo in scena, La castellana di Anchiano.[5]
Tra la fine degli anni 90 e per tutti gli anni 2000,
una compagnia teatrale dei ragazzi del paese, per la regia di Emiliano Frediani,
ha messo in scena sia commedie che spettacoli, tra cui Il fantasma di Canterville e L’allegra
forestiera (di quest’ultima il
copione fu scritto per intero dagli stessi componenti della compagnia).
Nel 2012, chi scrive insieme a Marco Pierucci e
Gabriele Ribilotta, ha dato vita ad una festa di popolo che ha preso il nome di
“Partigliano nel Rinascimento”. L’evento, tenutosi per alcuni anni e in attesa
di poter essere di nuovo organizzato, trasformava il paese in una cittadina
rinascimentale del 1494, con figuranti lungo le vie, canti a tema, usi e costumi
dell’epoca. La messa in scena terminava in Piazza Aurelio Bassi con la
rappresentazione di un processo dell’inquisizione, chiamato appunto Inquisitionis, che portava la firma di mio papà Alberico.
Fin dai tempi del primo Circolo Ricreativo e fino
al 2007 compreso, l'attività del bar era sempre stata gestita da un privato,
prima da Mario Frediani (detto Marconi) e poi da Sandro Gheri e Maria Rosa Mariani.
Nel 2007, a seguito della chiusura dell'attività di quest'ultimi, fu il Circolo
Ricreativo, guidato da Lamberto Battistoni, nel frattempo affiliatosi all’ACSI,
a prendere in gestione anche il Bar. Prima è avvenuto con i soci Giuliana
Maggenti e Giovanni Barsanti, poi con una gestione a turnazione tra vari soci,
infine, dal 2019 con i soci gestori Ivanna Taddeucci e Angelica Grandi. L’attuale
gestione ha portato ad un frequente utilizzo del teatro sia all’interno che
nell’incantevole spazio all’ombra del tiglio e adornato da un glicine, con la
rappresentazione di spettacoli musicali, della tradizione popolare e del
vernacolo.
Del 2021 è il finanziamento di un progetto, per 90.000 euro di fondi
europei, che tra 2022 e 2023 permetterà la completa riqualificazione dei locali.
Esattamente a cento anni dalla nascita del primo Circolo Ricreativo, è giunta
nero su bianco la possibilità di rinnovare, proiettandola nel futuro, una bellissima
storia di comunità che unisce le generazioni.
La
nostra storia inizia negli anni 60 del 700, quando il paese di Partigliano era
ancora un comune autonomo. Fu in quell'epoca che presero vita alcune forme
diffuse di rappresentazioni teatrali. Non vi era ancora un teatro pubblico,
così le messe in scena avvenivano all'aperto o in spazi privati, perlopiù
appartenenti a famiglie benestanti. Si trattava di occasioni di ritrovo, in
sporadiche sere, soprattutto estive, o nei pomeriggi del fine settimana, che buona
parte della comunità viveva come uno svago tra una fatica e l'altra nei campi.
Ad
essere rappresentati erano i canti e le ballate popolari della tradizione
contadina. Erano anche momenti in cui i padri facevano mostra dei figli e delle
figlie, con la speranza che incontrassero un buon partito da sposare.
Anche
quando, durante l'Ottocento, il paese perse lo status di comune per confluire
nel territorio comunale di Borgo a Mozzano, le modalità di condividere il
teatro rimasero le stesse del secolo precedente. Soltanto negli ultimi decenni del
XIX secolo si verificarono importanti innovazioni, grazie alla tradizione del “Maggio
Drammatico Teatrale”[1]
mutuata da Valdottavo.
Il
primo, piccolo, teatro novecentesco era situato in Via Vicinato, lungo il lastricato
in pietra che i paesani chiamano “Fillungo”. In seguito, fu spostato un
centinaio di metri più avanti nella medesima via, in una stanza più grande di
proprietà della Chiesa, nel luogo che a Partigliano chiamano “Al Pioppo”. Da lì
in avanti le rappresentazioni di commedie si fecero frequenti. Il teatro
divenne sempre di più il centro propulsivo per lo scambio culturale con le
comunità limitrofe. Oltre alle esibizioni dei paesani, infatti, venivano
ospitate compagnie provenienti dai vicini Valdottavo, Tempagnano e Domazzano.
Il ruolo
centrale del teatro “Al Pioppo” si inserisce nella più ampia influenza che la
chiesa esercitava in quel periodo nel disegnare usi, costumi ed economia dell'intera
comunità paesana. Nei primi anni del ‘900 a Partigliano era presente un
rettore, Don Boluccelli, gestore dei beni della parrocchia, a cui dopo qualche
anno fu affiancato un cappellano, Don Giovacchino Andreoni, a seguito della
donazione di alcune terre di una ricca signora (ricordata come “la signora
Anna”). Per un periodo i due parroci coesistettero poi, a seguito di una diatriba
di inizio anni 1910, la curia allontanò Don Boluccelli dal paese ed i beni da
lui gestititi passarono sotto la responsabilità unica del cappellano
Giovacchino, che assunse la carica di rettore. Tra le numerose proprietà di cui
divenne amministratore c'era anche il terreno sul quale alcuni paesani
avrebbero voluto costruire un nuovo e più spazioso teatro.
Con lo
scoppio della Grande Guerra (in Europa dal 1914, in Italia dal 1915) così come
fu stravolta la vita di ognuno si interruppe anche ogni attività teatrale. Anche
Partigliano subì la perdita di molti soldati alle armi, tra cui alcuni ragazzi
del ’99, inesperti e troppo giovani per morire nel fango. I sentimenti di tanti
di coloro che andarono in trincea sono descritti perfettamente dalle parole di
Sigfried Sassoon: “Schiere di volti grigi, mormoranti, mascherati di paura,
lasciano le trincee, risalgono la cima del fossato, mentre il tempo, vuoto e
affannato, batte ai loro polsi, e la speranza, insieme con gli sguardi furtivi e
i pugni stretti, si dibatte nel fango. O Gesù, fa che tutto questo abbia fine!”[2]
In
seguito alla Prima Guerra Mondiale la vita paesana riprese lentamente la
normalità, e fu così che nel 1921 un gruppo di persone decise di fondare “Il Circolo
Ricreativo”, un'associazione che si occupava di organizzare rappresentazioni
teatrali e di gestire le feste paesane, tra le quali nacque “Il 4 novembre” (in
omaggio al giorno stesso in cui nel 1918 a Vittorio Veneto si era sancita la
vittoria italiana), per celebrare caduti e reduci del conflitto. Le riunioni
del consiglio direttivo del Circolo si svolgevano nella casa di Davide Rinaldi,
anziano signore rinomato per la sua generosità e contraddistinto da folti baffi
“all’Umberta”, che era situata in località La Piazza (detta “Al Palazzo” per la
sua imponenza).
Poco tempo
dopo giunse il regime fascista, cambiarono le denominazioni e le strutture
associazionistiche, e agli inizi degli anni 1930 una gran parte dei paesani valutarono
che il teatro a loro disposizione, ancora quello presso “Al Pioppo”, era troppo
piccolo ed inospitale, perciò proposero di costruirne uno nuovo. Il luogo
ideale fu individuato in Via Crocialone, nel medesimo sito suggerito da alcuni
prima della Grande Guerra, come già detto appartenente alla chiesa, la quale,
tuttavia, ostacolava il progetto. A sbloccare la situazione fu Davide Rinaldi,
che acquistò quel terreno per donarlo alla comunità.
Il suo
gesto fu emblema dell'altruismo per il quale era rinomato in paese. Infatti,
era ben noto che presso il Circolo volessero costruire anche un bar, che
sarebbe diventato concorrente di quello gestito dallo stesso Davide. I suoi
altruismo e spirito di sacrificio saranno rimarcati anche anni più tardi,
quando, di fronte alla minaccia di fucilazione di massa che Partigliano subì il
13 settembre 1944 e che incombeva anche sui suoi due figli Aldo e Casimiro, nel
momento in cui gli occupanti nazisti liberarono le persone più anziane, egli si
rifiutò di andarsene e disse: “Se devo morire, voglio morire con i miei figli”[3],
e rimase in chiesa fino alla liberazione collettiva della mattina seguente.
Di recente sono venuto in possesso dell'atto con cui Mario Giuntini, Presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro di Partigliano, chiese al Commissario Prefettizio di Borgo a Mozzano l'autorizzazione a costruire il nuovo edificio: "Il sottoscritto Mario Giuntini, nella sua qualità di Presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro di Partigliano, fa rispettosa istanza alla S.V. Ill/ma per essere autorizzato a costruire un fabbricato da destinarsi a sede sociale.
Il predetto fabbricato sorgerà in Partigliano stesso in luogo detto CROCIALONE.
Si allega il disegno relativo.
Borgo a Mozzano, li' 1 maggio 1935 anno XIII
Con perfetta osservanza.
I lavori
di edificazione del teatro proseguirono per alcuni mesi e terminarono con
la copertura del tetto nello stesso 1935. È rimasta in nostro possesso una foto di quel
giorno, che testimonia la partecipazione volenterosa di tanti paesani alla
costruzione del locale che prese il nome di Dopolavoro (dall’Opera Nazionale
Dopolavoro in vigore durante il regime), tra cui ricordiamo Dorando Mariani e
Lido Marchetti, entrambi scomparsi pochi anni fa. Per la verità non tutti vi
parteciparono volontariamente, in quanto era in vigore un provvedimento, chiamato
“L’opere in natura”, che obbligava le persone a lavorare gratuitamente per il
Comune alcuni giorni l’anno. L’unico modo per esimersi era farsi sostituire da
un famigliare o pagare qualcuno perché lavorasse al posto proprio. Dal 1935 al
1943 la gestione del locale fu affidata ai componenti dell'Opera Nazionale Dopolavoro,
formata dagli iscritti al partito fascista, i quali un mese ciascuno ne
prendevano le redini. La struttura dell'edificio era a pianta rettangolare, con
un palco, una platea e due locali adiacenti, uno che fungeva da bar, l’altro da
alimentari. In verità non era molto dissimile dalla conformazione attuale, in
più esisteva soltanto una porta che dal palco entrava nel loco dove ancora oggi
vi sono gli alimentari, in cui era situato lo spogliatoio degli attori.
Presso
il Dopolavoro fu presto trasferito ed ampliato il programma teatrale, che
assunse una dimensione più ampia e stabilmente anche extra-paesana. Andavano
spesso in scena le compagnie di Valdottavo, guidate dal Maestro Pierotti, una
figura autorevole e molto stimata. Sotto la sua guida venne rappresentata, tra
le altre, Il cardinale dei medici, la commedia più gradita al pubblico.
La sala del Dopolavoro veniva utilizzata anche per altri scopi: vi si
organizzavano pranzi, cene e ritrovi ed è da lì che il paese ascoltò riunito il
discorso di Mussolini del ’40 sull’ingresso in guerra (“vincere, e
vinceremo…”). La sera del 5 gennaio di ogni anno veniva organizzata “La befana
fascista”, dove si distribuivano ai bambini pacchi regalo dal colore della
bandiera italiana. Le tragedie e gli orrori della guerra, forse ancor più che
nel conflitto precedente, stroncarono i normali svolgimenti della vita e con
essi subì di nuovo un brusco arresto anche l’attività teatrale.
Sul
finire del secondo conflitto mondiale il teatro riprese lentamente le attività
e ospitò balli e canti dei soldati Alleati, tra cui gli americani di colore,
perlopiù brasiliani che rimasero impressi nell'immaginario collettivo
dell'epoca. Con la caduta del regime decadde il Dopolavoro, che per decenni non
fu sostituito da alcuna specifica associazione. Per oltre trent'anni il teatro
sarà utilizzato esclusivamente per le rappresentazioni delle singole compagnie e
fungerà da magazzino per il bar adiacente.
Negli
anni 50 la stagione teatrale si arricchì di nuovo, ospitando oltre a compagnie
di Valdottavo e Tempagnano, anche gruppi di Piegaio, Corsagna e della più
distante San Martino in Freddana. Perlopiù venivano rappresentati Maggi e
Bruscelli (uno spettacolo
carnascialesco che deriva dalla Commedia dell’Arte, anch’esso cantato, in
ottava rima) con l'intermezzo di qualche commedia. I gruppi degli altri
paesi erano pagati tramite una percentuale del ricavato dall'ingresso degli
spettatori. I trascinatori della commedia partiglianina erano Ivo Nicoletti
(conosciuto come Ivo della Bettina) ed Amedeo Gheri, che mantennero questo
ruolo fino all'inizio degli anni 70. Una delle prime commedie rappresentate fu Brigata
Firenze, il cui cast era composto dagli stessi Ivo ed Amedeo assieme ad
Ardito Nicoletti, Noè Giusti e Maria Panicali, quasi sempre l'interprete
femminile di ogni commedia. Successivamente vennero rappresentate Luce che torna
(la storia di un giovane cieco la cui fidanzata lo tradisce con il padre,
fino a quando il ragazzo recupera la vista e rimette le cose a posto inducendo
il genitore al pentimento) e Juan Josè (in cui si narrano le vicende di Juan
Josè e l’amico Paco, che per averne la fidanzata Rosa, fa mandare il povero
Josè in galera con accuse false.
La situazione si capovolge quando Josè esce di
prigione ed uccide Paco riconquistando Rosa). Della compagnia di Tempagnano citiamo
la messa in scena di una commedia intitolata Il Fintunghero, che
riscosse un gran successo di pubblico.
La
tradizione partiglianina dei maggi visse una buona produzione tra le fine degli
anni ’40 e l’inizio dei ’50, ma scomparve quasi del tutto nei ’60, per vivere
poi una stagione d’oro negli anni ’70 grazie all’opera di Galileo Santini e
Aldo Nicoletti. I racconti li vogliono in sella ad una Vespa a girovagare per i
paesi del comune, anche la notte, in cerca di antichi copioni da trascrivere e
rimodernare. Tra i maggi rappresentati ricordiamo: La strage degli innocenti, Santa Flavia, Pia dei Tolomei, Oloferne e
Giuditta, Costantino il grande ed i bruscelli Il Giannone e Giuseppe ebreo. Uno degli attori che fece parte di tutti
questi maggi fu mio nonno, Romano Giuntini, a cui devo buona parte delle
informazioni presenti in questo articolo, il quale vi ha recitato
fino agli anni 2000, quando nonostante gli impedimenti fisici ha continuato a
coltivare questa sua grande passione.
Ai nomi di Aldo Nicoletti e Guido Giambastiani è
legata una “svolta epocale” nella gestione del teatro. Nel 1976 le due volenterose
personalità, alla guida di un cospicuo gruppo di compaesani, ricostituirono il
Circolo Ricreativo, affiliandolo all’ente ENAL. L'edificio tornò così ad essere
utilizzato con frequenza per svariate manifestazioni, anche diverse da quelle
teatrali. Grazie all'ondata di novità introdotta da queste figure
trascinatrici, fiorirono anche le attività di compagnie di giovani che misero
in scena alcune significative rappresentazioni. Intorno al Circolo vide la luce
in quegli anni anche un giornalino paesano, “La Colonna”[4], da
cui emerse una variegata vivacità culturale. In questo clima, nei primi anni
80, sempre Aldo Nicoletti e Franco Pierucci inventarono la “Festa sotto l’albero”,
una manifestazione che da allora si tiene ogni anno poco prima di Natale.
Durante gli anni 80 cadde di nuovo nel
dimenticatoio la tradizione dei maggi, che fu riscoperta ad inizio anni 90
dall'opera di Alberico Andreuccetti, mio padre, tramite l’associazione “Cultura
e Comunità”. Venne ricostituito il gruppo dei maggianti di Partigliano, che
per anni riscosse consensi e premi in tutta la Toscana, con la riproposizione
dei copioni degli anni 70 di Pia dei
Tolomei, Santa Flavia, Costantino il grande.
Nel 1997 Pia dei Tolomei fu messa in scena di notte, nel centro del
campo di Guzzanello, con un teatro ricavato in un cerchio di torce infuocate.
Lì, per l’occasione, era presente il Maestro Giorgio Albertazzi, il quale,
racconta chi c’era, ne rimase estasiato. Oltre a mio nonno Romano, gli attori
principali dei maggi furono Francesco Gheri, Giancarlo Mariani, Giovanna
Santini, Nella (Neli) Nicoletti. Mio padre, oltre alla regia, svolgeva il ruolo
del suggeritore che, come da tradizione dei maggi, stazionava sotto il palco
all’interno di una cabina coperta. Ai maggi si accompagnavano soventi le
esibizioni del gruppo “Musici e Cantori Il Bel Castello”, che, guidati dal
cantastorie Pietro Lino Grandi, rappresentavano stornelli della tradizione popolare.
Sempre negli anni 90, per la regia di Alberico Andreuccetti e il montaggio di
Enrico Pierucci, fu girato a Partigliano il film Shalom, che con attori
locali riproduceva, anche con accenni di contemporaneità, la storia della
natività di Gesù. Si trattò di un vero e proprio evento, oggi disponibile su
YouTube per la visione di tutti.
Dopo qualche anno di pausa, negli anni 2000 la
tradizione dei Maggi fu guidata dall'opera di Pietro Lino Grandi, prima con l’associazione
“Musici e cantori Il bel castello”, poi con la ricostituita Compagnia dei
maggianti. Oltre alla riproposizione di Oloferne e Giuditta e del
bruscello Il Giannone, furono
messi in scena nuovi copioni dalla firma del maestro Giuseppe Pasciuti: Il terzo Federico, La leggenda del ponte
del diavolo e Giuseppe d’Arimatea. Fu scritto, ma mai messo in scena, La castellana di Anchiano.[5]
Tra la fine degli anni 90 e per tutti gli anni 2000,
una compagnia teatrale dei ragazzi del paese, per la regia di Emiliano Frediani,
ha messo in scena sia commedie che spettacoli, tra cui Il fantasma di Canterville e L’allegra
forestiera (di quest’ultima il
copione fu scritto per intero dagli stessi componenti della compagnia).
Nel 2012, chi scrive insieme a Marco Pierucci e
Gabriele Ribilotta, ha dato vita ad una festa di popolo che ha preso il nome di
“Partigliano nel Rinascimento”. L’evento, tenutosi per alcuni anni e in attesa
di poter essere di nuovo organizzato, trasformava il paese in una cittadina
rinascimentale del 1494, con figuranti lungo le vie, canti a tema, usi e costumi
dell’epoca. La messa in scena terminava in Piazza Aurelio Bassi con la
rappresentazione di un processo dell’inquisizione, chiamato appunto Inquisitionis, che portava la firma di mio papà Alberico.
Fin dai tempi del primo Circolo Ricreativo e fino
al 2007 compreso, l'attività del bar era sempre stata gestita da un privato,
prima da Mario Frediani (detto Marconi) e poi da Sandro Gheri e Maria Rosa Mariani.
Nel 2007, a seguito della chiusura dell'attività di quest'ultimi, fu il Circolo
Ricreativo, guidato da Lamberto Battistoni, nel frattempo affiliatosi all’ACSI,
a prendere in gestione anche il Bar. Prima è avvenuto con i soci Giuliana
Maggenti e Giovanni Barsanti, poi con una gestione a turnazione tra vari soci,
infine, dal 2019 con i soci gestori Ivanna Taddeucci e Angelica Grandi. L’attuale
gestione ha portato ad un frequente utilizzo del teatro sia all’interno che
nell’incantevole spazio all’ombra del tiglio e adornato da un glicine, con la
rappresentazione di spettacoli musicali, della tradizione popolare e del
vernacolo.
Del 2021 è il finanziamento di un progetto, per 90.000 euro di fondi
europei, che tra 2022 e 2023 permetterà la completa riqualificazione dei locali.
Esattamente a cento anni dalla nascita del primo Circolo Ricreativo, è giunta
nero su bianco la possibilità di rinnovare, proiettandola nel futuro, una bellissima
storia di comunità che unisce le generazioni.